In tema di danni da “malpractice” medica nel regime anteriore alla legge n. 24 del 2017, nell’ipotesi di colpa esclusiva del medico nella causazione di un danno al paziente, la responsabilità – nei conseguenti rapporti tra struttura e sanitario – dev’essere paritariamente ripartita tra gli stessi, salvo che in eccezionali casi d’inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile devianza dal programma di tutela della salute cui la struttura è obbligata.

Oggi vi segnalo una recente ordinanza della Corte di Cassazione (la n. 28987 dell’11 novembre 2019) che concerne i presupposti per la rivalsa da parte della struttura sanitaria nei confronti del medico in caso di risarcimento integrale, da parte della prima, dei danni subiti dal paziente, nel regime anteriore all’entrata in vigore della Legge Gelli-Bianco (L. n. 24/2017), d’interesse generale per i professionisti sanitari.

Il caso

Una signora si sottopone a multipli interventi chirurgici: un intervento di mastoplastica riduttiva, seguito da uno di mastoplastica additiva ed infine da un intervento di revisione delle cicatrici derivanti dai primi due, erroneamente eseguito e non rimediato dalle operazioni successive alla prima. La paziente agisce dunque in giudizio contro clinica e chirurgo per ottenere il risarcimento dei danni sofferti.

Il Tribunale accoglie la domanda di risarcimento e dichiara la responsabilità solidale della struttura sanitaria e del medico, ovverosia l’obbligo di entrambi di risarcire il paziente per l’intero importo riconosciutogli.

La Corte d’Appello conferma la decisione osservando, in particolare, che la responsabilità del medico si estende automaticamente alla struttura che se ne è avvalsa per i propri fini, permettendo l’espletamento della prestazione sanitaria, non potendo farsi alcuna differenza, quanto alla graduazione delle rispettive colpe, “tra chi aveva male eseguito gli interventi e chi avrebbe dovuto assicurare un’esecuzione da parte di persona idonea”.

La clinica impugna la decisione avanti alla Corte di Cassazione per lamentare che il cattivo esito dell’intervento era esclusivamente addebitabile al medico, e che pertanto – nei rapporti interni – l’intero importo del risarcimento avrebbe dovuto far carico allo stesso.

Le regole della responsabilità viste dall’interno e viste dall’esterno

La decisione concerne le regole che investono la responsabilità della struttura e del medico per il risarcimento dei danni causati ad un paziente, rispettivamente viste dall’interno e dall’esterno del rapporto tra i condebitori.

Per quanto concerne la responsabilità della struttura, si applica la regola posta dall’art. 1228 c.c., sulla base del quale “il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si vale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro”. In forza di tale norma il paziente, che sia legato da un rapporto contrattuale con una struttura sanitaria ed abbia subito dei danni causati da medici operanti in quest’ultima, potrà agire nei confronti della struttura stessa al fine di ottenere il risarcimento dell’intero danno, anche se lo stesso sia stato causato da un errore del medico.

Secondo la Cassazione, si tratta comunque di una responsabilità della struttura per fatto proprio (e non altrui), ovverosia della “responsabilità di chi ha volontariamente incaricato l’ausiliario, e organizzato attraverso questo incarico l’esecuzione della propria obbligazione per i fini negoziali perseguiti”.

Ma come vanno poi ripartite, una volta risarcito il paziente, le responsabilità “interne”, nei rapporti tra struttura e medico?

La soluzione data dalla Cassazione

Secondo la Corte di Cassazione, va rimarcato che

*da un lato, il medico opera pur sempre nel contesto dei servizi resi dalla struttura presso cui svolge l’attività, che sia stabile o saltuaria, per cui la sua condotta (pur negligente) non può essere agevolmente “isolata” dal più ampio complesso delle scelte organizzative, di politica sanitaria e di razionalizzazione dei propri servizi operate dalla struttura, di cui il medico stesso è parte integrante;

*dall’altro lato, il già citato art. 1228 c.c. fonda l’imputazione alla struttura degli illeciti commessi dai suoi ausiliari sulla libertà della prima di decidere come provvedere all’adempimento degli obblighi assunti verso il paziente, accettando il rischio connesso alle modalità prescelte secondo, in definitiva, una responsabilità che ricalca il rischio d’impresa.

Ne consegue che, se la struttura si avvale della “collaborazione” dei sanitari persone fisiche (utilità) si trova del pari a dover rispondere dei pregiudizi da costoro eventualmente cagionati (danno)”.

Anche in caso di responsabilità esclusiva del medico nella causazione del danno al paziente, dunque, nel regime anteriore alla legge Gelli-Bianco, il relativo risarcimento farà dunque carico pro quota per metà sulla clinica e per metà sul medico.

Solo in casi del tutto eccezionali il danno ricade sul medico

Il danno da “malpratice”, insomma, viene sempre ripartito tra struttura e sanitario, anche in ipotesi di colpa esclusiva di quest’ultimo. Ma con un’eccezione, ovverosia in caso di

inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile devianza da quel programma condiviso di tutela della salute: si pensi al sanitario che esegua senza plausibile ragione un intervento di cardiochirurgia fuori della sala operatoria dell’ospedale”.

Pertanto, solo quando si manifesti un evidente contrasto tra (grave e straordinaria) “malpractice” e (fisiologica) attività economica dell’impresa, che si risolva in una interruzione del nesso causale tra condotta del debitore e danno lamentato dal paziente, la struttura ospedaliera potrà rivalersi per l’intero sul medico.

Come si articola l’onere della prova?

Per ritenere superata la presunzione di suddivisione paritaria, “pro quota” dell’obbligazione solidale non basta, pertanto, escludere la corresponsabilità della struttura sanitaria, ma sarà onere della struttura (che abbia risarcito il paziente) di dimostrare

(1) la colpa esclusiva del medico, ovverosia che l’inadempimento sia esclusivamente ascrivibile alla condotta di quest’ultimo

(2) che l’evento dannoso è derivato da una condotta del tutto dissonante rispetto al piano dell’ordinaria prestazione dei servizi di spedalità.

La responsabilità della struttura sanitaria ha natura oggettiva

La Suprema Corte osserva infine come la responsabilità della struttura sanitaria, essendo destinata a scaturire da un’attività che impone l’adozione di uno stringente “standard” operativo e dovendosi conformare a criteri di organizzazione e gestione certamente distinti da quelli che governano la condotta del singolo medico, vada a modellarsi, a differenza dell’attività del singolo sanitario, secondo criteri di natura oggettiva, ovverosia che prescindono da colpa o dolo.

Con la sentenza in commento, la Cassazione supera l’impostazione data al problema solo una manciata di settimane fa, con l’ordinanza n. 24167 del 27 settembre 2019, secondo la quale la struttura sanitaria può agire in via di regresso contro il medico proprio dipendente o collaboratore per l’intero importo pagato, solo provando che il danno sofferto dal paziente non è ascrivibile a proprie carenze tecnico-organizzative, bensì solo ed esclusivamente a colpa (grave) del medico stesso.

Restano ferme, per i fatti accaduti dopo l’entrata un vigore della legge Gelli-Bianco, le norme specifiche poste da quest’ultima legge (vedi l’art. 9).

Per concludere

Sulla base di quanto precede, il ricorso della clinica è stato dunque rigettato e la stessa condannata al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

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Avv. Elena Bassan

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