La popolarità ed il numero crescente delle procedure di carattere iniettivo con filler dermici hanno portato ad un parallelo incremento delle complicanze post-procedurali e, conseguentemente, delle iniziative legali da parte dei pazienti contro i medici un tempo loro alleati contro l’inesorabile passaggio del tempo. Oggi ci concentriamo su alcuni profili di criticità medico-legale che possono essere d’interesse per l’operatore sanitario che utilizza questo genere di dispositivi.

 

Iniziamo con qualche dato

Sulla base degli ultimi dati pubblicati dalla International Society of Aesthetic Plastic Surgery (ISAPS) – che ogni anno elabora e pubblica le statistiche degli interventi di natura estetica nel mondo – e che si riferiscono all’anno 2020, nonostante l’impatto della pandemia da Covid-19 sul mondo medico in generale (incluso l’universo estetico), le procedure di natura non chirurgica con finalità estetiche hanno assistito a livello globale ad una crescita (5,7% in più) rispetto all’anno precedente. Tale crescita è stata imputata alla maggiore flessibilità goduta, in generale, dai pazienti in relazione all’espletamento delle prestazioni lavorative, all’opportunità di godere di una maggiore privacy nel post-trattamento e, con particolare riferimento alle procedure concernenti il viso, – al cd. “effetto Zoom”, ovvero al fenomeno legato al massiccio uso delle videocall ed alla conseguente crescita di richieste di trattamenti, dovuta alla percezione del proprio aspetto come poco attraente nella trasmissione in videocamera durante i meeting online.
In Italia il settore ha visto una decrescita connessa alla pandemia da Covid-19, ma si attesta comunque su numeri importanti, con un totale stimato di 830.868 procedure estetiche (tra interventi chirurgici e trattamenti non chirurgici) realizzati nel 2020, tant’è che il nostro paese si attesta, sulla base dei dati ISAPS, all’ottavo posto nella classifica mondiale per il ricorso alle procedure medico-estetiche, preceduto solo da Stati Uniti, Brasile, Germania, Giappone, Turchia, Messico ed Argentina. Le procedure non-chirurgiche, in particolare, hanno visto una flessione di circa il 25% rispetto al 2019, con 585.468 trattamenti eseguiti in un anno. L’iniezione di filler a base di acido ialuronico costituisce, con 240.264 trattamenti, la procedura non chirurgica con finalità estetiche più richiesta in Italia (41%); al secondo posto annoveriamo l’infiltrazione di tossina botulinica (34,9%, pari a 204.084 procedure), ma si affacciano timidamente (tra gli iniettabili) anche l’idrossiapatite di calcio (12.732 procedure) e l’acido polilattico (3.480 procedure).

Cosa sono i filler dermici

Come noto, i filler dermici sono sostanze iniettabili nel derma o nel tessuto sottocutaneo ed utilizzate per correggere imperfezioni della pelle, ritoccare inestetismi del viso come rughe o cicatrici e ripristinare i volumi perduti.

Anche se non hanno, a rigore, una destinazione d’uso medica, i filler sono classificati come dispositivi medici e sono regolati dalla normativa in materia.

I filler sono dispositivi medici invasivi di tipo chirurgico in quanto sono iniettati e, in funzione delle caratteristiche fisico-chimiche del prodotto, sono classificati in:

  • filler permanenti, che non vengono riassorbiti, classe di rischio IIb
  • filler riassorbibili o principalmente riassorbibili, classe di rischio III. 

Essi appartengono quindi alle classi di rischio più alte dei dispositivi, per le quali è previsto che l’Organismo Notificato valuti con particolare attenzione la progettazione (con specifico riferimento ai dati clinici che dimostrano la loro efficacia e sicurezza) e la produzione” (fonte: Ministero della Salute).

 

Gli aspetti medico-legali del trattamento con filler

I filler sono dunque sostanze eterologhe, che possono essere suddivise schematicamente in riassorbibili, semi-permanenti e non riassorbibili: ciascuna categoria può dare luogo ad eventi avversi e complicazioni più o meno importanti in relazione alle sue caratteristiche chimico-fisiche e immunologiche, alle modalità di infiltrazione e alla risposta dell’ospite.

L’uso dei filler deve avvenire esclusivamente in una struttura medica attrezzata ed autorizzata secondo le norme vigenti, da personale sanitario medico esperto.

In generale, quand’anche il paziente riporti degli eventi aversi in conseguenza dell’infiltrazione di un filler, non ricorrerà un inadempimento imputabile al medico laddove risulti accertato che, in sintesi:

  1. il trattamento sia stata eseguita a regola d’arte e con prodotti idonei
  2. la possibilità dell’occorrenza delle eventuali conseguenze negative riportate dal paziente sia stata espressamente e preliminarmente comunicata allo stesso, come effetto possibile ma inevitabile del trattamento, e
  3. il paziente abbia validamente acconsentito con atto scritto alle modalità del trattamento ed alla possibilità di verificazione di esiti non desiderati. 

I passaggi fondamentali sotto il profilo medico-legale

Vari sono i passaggi rilevanti, sotto il profilo medico-legale, per evitare passi falsi nell’esecuzione della procedura, in gran parte afferenti alle fasi preparatorie o precedenti l’infiltrazione. Vediamoli qui di seguito.

Indispensabile un’anamnesi approfondita

È di fondamentale importanza che il paziente intenzionato a sottoporsi a trattamenti di medicina estetica consulti il proprio medico di fiducia che, opportunatamente formato e sulla base di una approfondita valutazione delle condizioni cliniche e fisiche del paziente, potrà consigliarlo sul trattamento più appropriato.

A livello precauzionale, l’utilizzo di filler pregressi di natura non meglio precisata è motivo sufficiente per evitare l’uso di altri filler.

Un’accurata anamnesi ed esame clinico (che, in questo caso, dovrà considerare l’aspetto fisico generale, il fototipo ed il grado di fotoinvecchiamento, la densità e lo stato di attività delle ghiandole sebacee, il grado di lassità cutanea, la presenza di cicatrici ipertrofiche e/o cheloidee su tutto l’ambito cutaneo, la presenza di infezioni o di altre dermopatie etc.) sono passaggi indispensabili per la valutazione da parte del professionista dell’esistenza di eventuali controindicazioni assolute o relative al trattamento; di essi dovrà essere lasciata accurata traccia scritta.

È poi sempre necessario valutare che i candidati al trattamento con i filler – così come a qualsiasi altro trattamento con finalità estetica – siano animati da aspettative realistiche e manifestino adeguata disponibilità psicofisica a tollerare il trattamento e l’eventuale convalescenza.

Quali informazioni dare al paziente?

Al paziente devono essere fornite informazioni esaustive e chiare riguardo non solo all’auspicata efficacia e durata del trattamento, ma anche sui rischi e sulle complicanze della procedura proposta. Tali informazioni devono essere date preferibilmente anche per iscritto, prima dell’esecuzione del trattamento (per esempio, quando viene fissato l’appuntamento per l’esecuzione del filler) in modo da lasciare al paziente un adeguato lasso di tempo per la relativa valutazione.

Si consideri che con questo genere di trattamenti il paziente persegue un risultato non declinabile in termini di tutela della salute, bensì di mero perfezionamento estetico, in relazione al quale “è richiesta la sussistenza di concrete possibilità, per il paziente, di conseguire un effettivo miglioramento dell’aspetto fisico che si ripercuota favorevolmente sulla sua vita professionale o di relazione”.

Questa caratteristica si riflette anche ed essenzialmente sull’obbligo informativo del medico. Ma in che modo?

La necessità di una informazione puntuale, completa e capillare è funzionale alla delicata scelta del paziente: se rifiutare l’intervento o accettarlo correndo il rischio del peggioramento delle sue condizioni estetiche.” È questa, secondo la Cassazione, la fondamentale caratteristica dell’intervento estetico, cioè dell’intervento medico considerato come “non necessario” (Cass. Civ., n. 12830 del 6.6.2014).

 

Su quali aspetti deve concentrarsi l’informazione?

Quando esegue trattamenti con fini estetici, di natura chirurgica e non, il medico è tenuto innanzitutto a prospettare al paziente“in termini di probabilità logica e statistica”, la possibilità di conseguire un effettivo miglioramento dell’aspetto fisico, che si ripercuota favorevolmente anche nella vita professionale e in quella di relazione, così come l’eventuale rischio di peggioramenti della condizione estetica.

 

Il miglioramento del proprio aspetto fisico – che è il risultato che il paziente intende raggiungere con l’intervento – acquista un particolare significato nel quadro dei doveri informativi cui è tenuto il sanitario, anche perché soltanto in questo modo il paziente è messo in grado di valutare l’opportunità o meno di sottoporsi all’intervento di chirurgia estetica. In questa materia, infatti, può parlarsi nella maggioranza dei casi, di interventi non necessari, che mirano all’eliminazione di inestetismi e che, come tali, devono essere oggetto di un’informazione puntuale e dettagliata in ordine ai concreti effetti migliorativi del trattamento proposto” (Cass. Civ. n. 9705 del 6.10.1997).

Va inoltre prestata molta attenzione al modo in cui l’informazione viene traslata al paziente e che quest’ultimo abbia ben compreso cosa è ragionevole attendersi dal trattamento.

In secondo luogo, il medico è sempre tenuto a prospettare al paziente i possibili rischi del trattamento, anche se statisticamente modesti. L’insieme dei rischi prevedibili in relazione al trattamento e/o in sede post-trattamento è un’informazione da ritenersi particolarmente pregnante nel campo della medicina con finalità estetiche, posto che la funzione non curativa della prestazione richiesta al medico

“fa presumere come il consenso all’intervento non sarebbe stato prestato se (il paziente) fosse stato compiutamente informato dei relativi rischi, senza che sia necessario accertare quali sarebbero state le sue concrete determinazioni in presenza della dovuta informazione.”

In altri termini, secondo la giurisprudenza, qualora si tratti di trattamenti medici con finalità estetiche, se viene accertato che il paziente ha riportato un peggioramento estetico a seguito del trattamento e informazione  data al paziente sui possibili rischi (poi verificatisi) non è stata adeguata, non sarà necessario accertare quale sarebbe stata la scelta del paziente – se sottoporsi comunque all’intervento o meno – per presumere l’esistenza di una responsabilità del medico al riguardo e di un danno risarcibile.

Particolare attenzione va prestata all’utilizzo di prodotti nuovi, o sui cui effetti non vi sia ancora consolidata evidenza scientifica:

“Il consenso informato non può ovviamente esaurirsi nella comunicazione del nome del prodotto che verrà somministrato o di generiche informazioni ma deve investire – soprattutto nel caso di trattamenti che non sono diretti a contrastare una patologia ma a finalità esclusivamente estetiche che si esauriscono dunque in trattamenti non necessari se non superflui – gli eventuali effetti negativi della somministrazione in modo che sia consentito al “paziente” di valutare congruamente il rapporto costi-benefici del trattamento e di mettere comunque in conto l’esistenza e la gravità delle conseguenze negative ipotizzabili… Proprio la mancanza di documentazione sull’esistenza di una congrua sperimentazione del prodotto per la sua novità rende(va) ancor più necessaria l’informazione alla paziente” (Cass. Pen., n. 32423 del 1.8.2008, in tema di filler non riassorbibili).

Con riferimento al tema – parallelo – del possibile utilizzo off-label di farmaci e delle condizioni alle quali esso è subordinato, si veda il mio post “Utilizzo off-label del farmaco e responsabilità da omesso consenso del paziente.

 

Facciamo qualche esempio…

Frequentemente, quando si parla di filler dermici, si tende a rassicurare il paziente in merito al fatto che:

– il cambiamento determinato dal filler (se riassorbibile) è sempre reversibile

– si tratta di trattamenti pressoché privi di rischi

– le principali complicazioni (essenzialmente rossore, gonfiore ed ecchimosi) sono normalmente destinate a scomparire nell’arco di qualche giorno.

Ma attenzione: il paziente va sempre informato anche dei rischi più gravi, per quanto statisticamente non preponderanti. Secondo la giurisprudenza, l’informazione sui rischi deve infatti essere data anche quando la probabilità di verificazione dell’evento sia, da un lato, così scarsa da essere prossima al fortuito e, dall’altro lato, così alta da renderlo pressoché certo, “in quanto solo al paziente spetta la valutazione, in ultima battuta, dei rischi che intende correre” (così Cass. Civ., Sez. III, n. 19212 del 29.9.2015).

Ciò che andrebbe per esempio detto (o, meglio, scritto), beninteso con le dovute forme e senza spaventare il paziente, è che:

  • reversibilità non significa restitutio ad integrum: anche con i filler riassorbibili, il paziente – nella gran parte dei casi – non ritorna mai totalmente allo stato iniziale
  • la riassorbibilità del prodotto non può essere prevista se non con dati statistici, che hanno valore puramente indicativo; d’altra parte, la ripetibilità del trattamento con i filler può essere programmata, a seconda del materiale utilizzato e/o delle evidenze cliniche o clinico-estetiche del paziente, ma sia l’esito del trattamento che l’opportunità della relativa ripetizione dipendono frequentemente dalle caratteristiche fisiologiche del tessuto trattato, dalle abitudini del paziente (fumo, dimagramento, fotoesposizione, ecc.), dalle aree anatomiche trattate
  • vi è la possibilità (seppur rara) che i filler causino effetti collaterali gravi, che includono – a seconda dei casi – il rischio di danni importanti o di perdita della vista; ischemia e necrosi tissutale, formazione di noduli sottocutanei e granulomi, ascessi sterili, infezioni batteriche da biofilm e cicatrici; intensificazione degli episodi erpetici e reazioni allergiche gravi. Va anche detto che alcune di queste complicanze possono avere esiti permanenti
  • i rischi di eventi avversi sono destinati ad accrescersi (1) con la reiterazione del trattamento nel tempo; (2) con l’aumento della quantità di materiale infiltrato.

 

I momenti dell’informativa e della raccolta del consenso come strumenti di marketing

Il momento informativo, se adeguatamente strutturato e gestito, lungi dallo spaventare o demotivare il paziente rispetto all’esecuzione del trattamento, potrà invece essere utilizzato come un potente mezzo di marketing e di fidelizzazione del paziente e creare un circolo virtuoso che, da un lato, tutela il professionista e il Centro medico di riferimento sotto un profilo legale e, dall’altro lato, coinvolge maggiormente il paziente nelle scelte mediche ed estetiche che lo riguardano e tendenzialmente lo fidelizzano sia al singolo professionista che al Centro.

 

Consenso informato: scritto o verbale?

Complementare al tema dell’informazione al paziente è quello dell’espressione del consenso informato al trattamento da parte del paziente. Meglio scritto o orale?

Per quanto l’art. 1 della Legge 217 del 2019 non lasci dubbi in merito alla necessità di documentazione scritta del consenso (“Il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di  comunicare”) molti medici considerano il consenso informato importante, ma non fondamentale e sono restii a sottoporre al paziente un documento di consenso scritto al trattamento, oppure utilizzano moduli superficiali e carenti, così da “non creare inutili allarmismi o spaventare il paziente”.

Frequentemente mi è capitato di leggere informative e moduli di consenso che, pur riferendosi formalmente ad un dato intervento o trattamento, nel loro contenuto concreto non rispecchiassero affatto quello specifico trattamento al quale poi era stato sottoposto il loro paziente.

I medici che sottopongono moduli di questo tipo ai pazienti non considerano un aspetto essenziale, e cioè che

un consenso espresso mediante sottoscrizione di un modulo lacunoso o superficiale equivale ad un consenso non dato.

Infatti, secondo giurisprudenza consolidata, la struttura e il medico vengono meno all’obbligo di fornire un valido ed esaustivo consenso informato al paziente non solo quando omettono del tutto di riferirgli della natura del trattamento prospettato, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando acquisiscono con modalità improprie il consenso del paziente.

Non adempie all’obbligo di fornire un valido consenso informato il medico il quale ritenga di sottoporre al paziente, perché lo sottoscriva, un modulo del tutto generico, da cui non sia possibile desumere con certezza che il paziente medesimo abbia ottenuto in modo esaustivo, anche verbalmente, tutte le informazioni necessarie (Cass. Civ., Sez. III, n. 2177 del 4.2.2016).

Da tutto quanto detto è dunque evidente che stiamo trattando di attività e documenti che non possono essere lasciati al caso, all’ottimismo o all’improvvisazione, ma devono essere strutturati in modo tale da conformarsi alle norme di legge ed ai principi individuati dalla giurisprudenza del settore al fine di gestire in modo più agile e razionale il rapporto con il paziente e di limitare, al contempo, il rischio di contenziosi.

È dunque sempre consigliabile che la nota informativa per il paziente ed il modulo per l’espressione del consenso informato siano redatti “a quattro mani” da professionisti medici e legali, affinché le rispettive competenze possano integrarsi in documenti di effettiva efficacia medico-legale.

 

Quando va fatto firmare il modulo di consenso?

Il paziente andrà debitamente informato ed il suo consenso raccolto prima di sottoporlo alla procedura.

Nel caso in cui vengano programmate una pluralità di sedute, tutte facenti parte dello stesso programma e destinate ad essere completate in un lasso di tempo ragionevole, sarà sufficiente la raccolta di un unico consenso iniziale.

Qualora, invece, si decida di reiterare, magari a distanza di tempo, un dato trattamento, oppure siano occorsi medio tempore degli eventi che cambino le condizioni originarie oggetto di valutazione medica e/o i rischi i quali sia esposto il paziente per effetto del trattamento, è prudente la raccolta di un nuovo consenso informato.

 

Non dimentichiamo le istruzioni pre e post-trattamento

È sempre opportuno – anziché limitarsi a semplici raccomandazioni verbali – consegnare al paziente una nota scritta con le istruzioni sui comportamenti da tenere e da evitare prima e dopo il trattamento. Questo può permettere di evitare successive contestazioni in caso di infezioni o di altri eventi avversi connessi con condotte che non sono sottoposte al diretto controllo medico.

 

Filler e minori

Mentre in altri paesi l’impennata delle richieste di trattamenti estetici (filler inclusi) da parte di minori d’età ha portato all’adozione di norme restrittive, nel nostro Paese, allo stato, non esiste ancora una regolamentazione specifica del settore. Al di là della Legge 5 giugno 2012 n. 86 che vieta, per le pazienti under 18, la mastoplastica additiva per scopi prettamente estetici, in merito agli altri trattamenti medici con finalità prettamente estetiche la nostra legge nulla dice, ed è dunque rimesso all’etica ed al buon senso del medico la valutazione dell’appropriatezza e dell’effettiva necessità del trattamento, sulla base della reale esigenza psicologica del trattamento da parte del minore e delle basi emozionali ad esso sottostanti.

Qualora si ritenga opportuno procedere, si ricorda che il consenso al trattamento dovrà essere formalmente manifestato, per iscritto, da entrambi i genitori.

 

Documentazione della procedura

Per quanto tutt’oggi poco in uso per questo genere di trattamenti, si raccomanda ai sanitari di compilare la cartella clinica, dettagliando l’anamnesi, le eventuali indagini preliminari svolte sul paziente (eventuali esami e test pre-infiltrazione etc.) e le istruzioni pre e post trattamento date allo stesso, nonché di archiviare tutte le informazioni relative del dispositivo impiantato (etichetta, lotto etc.) per garantirne il relativo tracciamento in caso di necessità. Molto spesso non si riesce ad identificare il filler utilizzato in un paziente, in quanto è diffusa l’abitudine di non dare tracciabilità dello stesso e le informazioni sulla storia delle iniezioni può essere difficile da ottenere. Questo può rendere complicata la gestione eventuali complicanze, specialmente in pazienti con l’abitudine al filler e che si siano rivolti, nel tempo, a diversi professionisti. È altresì consigliabile tenere una traccia fotografica pre/post-trattamento, oltre che – naturalmente – archiviare in modo preciso e completo le note informative ed i consensi informati del paziente.

La corretta compilazione e conservazione di accurata documentazione clinica e dei consensi alle cure del paziente è, da un lato, la base irrinunciabile per garantire l’eccellenza dei trattamenti e, dall’altro lato, lo strumento fondamentale di autotutela del sanitario in caso di contenzioso con il paziente.

La completezza e tracciabilità dell’informazione diventano infatti sempre più importanti man mano crescono i numeri delle procedure effettuate (ed i correlati rischi di eventi avversi): a fronte della contestazione di inadempimento da parte del paziente, è infatti onere della struttura e del medico provare l’adempimento dell’obbligazione di avergli fornito un’informazione completa ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze (Cass. Civ., Sez. III, n. 18283 del 25 giugno 2021).

Va poi considerato che la violazione, da parte del medico, dell’obbligo di redigere e di controllare la completezza e l’esattezza delle cartelle cliniche e dei referti allegati comporta non solo una mancanza deontologica, ma anche un inesatto adempimento della propria prestazione professionale (Cass. Civ., Sez. III, n. 20101 del 18 settembre 2009); in tema, si veda anche il mio post “Cartella clinica lacunosa: le regole dell’onere della prova in giudizio”.

Dall’altro lato, l’incompletezza della documentazione clinica può ritorcersi contro il professionista sanitario  e consentire di presumere come provati in giudizio i fatti in essa non annotati ed il nesso fra gli stessi ed il danno alla salute riportato dal paziente.

 

Cosa dice il Codice di Deontologia Medica

Completa il quadro l’articolo 76-bis del Codice Deontologico, introdotto nel dicembre 2017 che, sul punto delle attività diagnostico-terapeutiche con finalità estetiche, precisa che il medico deve:

  • garantire il possesso di idonee competenze;
  • non suscitare né alimentare aspettative illusorie nel paziente;
  • individuare soluzioni alternative che siano parimenti efficaci;
  • garantire la massima sicurezza delle prestazioni.

Il mancato rispetto dei predetti precetti può dunque comportare una responsabilità non solo – ricorrendone i rispettivi requisiti – in sede civile o penale, ma anche in sede disciplinare del professionista.

 

Cosa fare in caso di eventi avversi?

Inutile dire che il medico deve sempre saper riconoscere le complicanze e conoscere i trattamenti adeguati, sulla base delle indicazioni e Linee Guida più aggiornate date dalle società Scientifiche. Non va infine dimenticato poi l’obbligo di segnalazione di eventuali incidenti al Ministero della Salute mediante l’apposita modulistica online.