Nelle ipotesi di lesioni colpose (ovvero di omicidio colposo) ascritte al sanitario, il giudice non può limitarsi ad assumere come corretta o meno la condotta tenuta, ma deve sviluppare il ragionamento controfattuale riferito alla specifica attività che era richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare – con alto grado di credibilità razionale – l’evento lesivo in concreto verificatosi.
Oggi ci occupiamo di estetica e, nello specifico, di complicanze da filler esaminando una recente sentenza della Cassazione Penale (n. 8171 del 9 marzo 2022) sul tema.
Il caso
Per svariati anni una signora si sottopone ad iniezioni sottocutanee al viso con filler per scopi puramente estetici, all’esito delle quali riporta la formazione di granulomi da corpo estraneo, con sensazione di fastidio, rigonfiamento ed indurimento dei tessuti degli zigomi.
La paziente si rivolge dunque nuovamente alla specialista che aveva eseguito i trattamenti estetici la quale, riscontrata l’effettiva sussistenza del problema, cerca di risolverlo mediante “spremitura” dei granulomi formatisi. La “spremitura” viene reiterata con cadenza bimestrale per circa un anno, ma senza esito.
La chirurga, insieme ad una collega, decide allora di intervenire chirurgicamente per la rimozione dei granulomi, ma l’accesso transbuccale scelto procura alla paziente la lesione delle terminazioni nervose e la compromissione dei rami sensitivi della guancia e del perilabio, poi ulteriormente complicata, nel post-operatorio, da un’infezione e dalla formazione di un ascesso ad evoluzione fistolosa della guancia.
Alla paziente residuerà un importante “dismorfismo del volto con esito cicatriziale retraente sulla guancia sinistra ed un lieve lagoftalmo bilaterale”, per tentare di risolvere i quali la stessa verrà sottoposta a ben sette ulteriori interventi chirurgici.
La paziente presenta dunque denuncia-querela nei confronti dei due medici per lesioni colpose aggravate.
L’esito delle valutazioni compiute nei primi due gradi del giudizio
Il Tribunale esclude la responsabilità dei medici con riguardo al tipo di intervento chirurgico dalle stesse prescelto per cercare di eliminare i granulomi, ma conferma la responsabilità:
– del primo medico con riferimento all’inidoneo trattamento iniziale dei granulomi mediante “spremitura”, oltre che per la mancanza di tempestività del necessario intervento chirurgico
– di entrambi i medici in relazione all’erronea gestione del decorso post-operatorio.
La Corte d’Appello ribalta la decisione e conclude per l’inesistenza di responsabilità dei medici in relazione alle pregresse attività estetiche ed all’insorgenza dei granulomi, nonché per il relativo trattamento e per la gestione del decorso post-operatorio.
Vediamo qual è l’esito del processo in Cassazione.
In caso di problematiche da filler, la scelta dell’intervento appropriato dipende dalla natura della sostanza iniettata
Con riguardo alla prima fase della vicenda, il Tribunale considera innanzitutto l’incompletezza delle informazioni disponibili circa la natura dei filler iniettati alla paziente nel corso degli anni e della conseguente incertezza in merito alla sostanza cui imputare la reazione infiammatoria sofferta dalla stessa. Solo all’esito degli esami istologici effettuati a livello zigomatico e dell’esame del perito nominato dall’Ufficio, si giunge alla conclusione che i granulomi fossero insorti non a causa dell’acido ialuronico (filler di tipo riassorbibile) iniettato alla paziente più recentemente, ma verosimilmente di una sostanza sintetica, iniettata anche molti anni prima del verificarsi della reazione avversa.
Considerato che:
– non esistono linee guida pubblicate dalla Società Italiana di Chirurgia Plastica sul trattamento delle complicanze da filler
– la scelta della modalità di intervento appropriata doveva essere calibrata in considerazione del tipo di granuloma riscontrato
– solo in caso di iniezione di materiali destinati a rimanere allo stato gelatinoso, quali il poliacrilammide, sarebbe stato giustificabile un tentativo di “spremitura” prima di procedere alla rimozione chirurgica,
la corretta prassi da seguire nel caso in commento doveva ritenersi quella indicata dal perito di parte offesa e cioè, a fronte di massimo due tentativi infruttuosi di “spremitura”, il granuloma avrebbe dovuto essere tempestivamente trattato chirurgicamente.
Secondo il Tribunale, il primo medico è dunque principalmente responsabile per non essere intervenuto tempestivamente con un intervento chirurgico e per aver prolungato la malattia della paziente (conseguente alla formazione dei granulomi) per oltre un anno,
“ciò che rappresenta… una chiara inosservanza delle regole dell’arte medica”.
La posizione della Corte d’Appello in merito alla gestione dei granulomi…
La Corte d’Appello assolve le imputate ma, secondo la Cassazione, l’assoluzione è basata su presupposti fattuali e giuridici errati, incompatibili con le risultanze del primo grado. In particolare, la sentenza viene considerata “del tutto illogica” là ove sostiene che le “spremiture”, per quanto inutili, non abbiano aggravato la situazione della paziente, e ciò in quanto
“la protrazione di uno stato di malattia costituisce indubitabilmente un aggravamento delle condizioni di vita della persona, in esse dovendosi anche ricomprendere gli aspetti psicologici e quelli correlati alla vita di relazione sociale.”
Nel caso in commento un intervento chirurgico più precoce, per quanto verosimilmente inidoneo a risolvere il quadro clinico della paziente, “…sicuramente avrebbe ridotto di un anno il periodo di invalidità provvisoria” sofferta dalla stessa.
Il nesso causale della vicenda investe dunque – nella sua prima fase – il rapporto tra il ritardo dell’intervento chirurgico e la protrazione della malattia (granulomi da filler), che poi condurrà alla deturpazione permanente del volto della paziente.
…e sul decorso post-chirurgico
Anche la “terza fase” della vicenda – e cioè il decorso post-operatorio – viene giudicata in sede d’appello come correttamente gestita dai due medici. Il Tribunale aveva invece osservato che:
- le imputate si erano sostanzialmente limitate alla prescrizione di terapia antibiotica generica e nulla avevano fatto concretamente per risolvere l’ematoma che affliggeva la paziente
- non era stata effettuata alcuna ecografia della zona interessata, né era stato considerato di drenare chirurgicamente l’ematoma, nonostante il chiaro processo infettivo in corso.
Posto che la presenza di un granuloma è indice sicuro di una carica batterica attiva nel corpo, è prevedibile che il contatto tra i batteri e la raccolta ematica non drenata conduca ad un ascesso che, se non drenato chirurgicamente, inevitabilmente drenerà attraverso la fistolizzazione verso l’esterno. L’ascesso e la sua successiva fistolizzazione erano dunque, nel caso concreto, eventi prevedibili ed evitabili dai medici con condotte corrette.
Secondo il Giudice di primo grado, il dismorfismo al volto e l’esito cicatriziale sulla guancia sinistra residuato alla paziente è dunque da ricollegare eziologicamente alla condotta omissiva tenuta dai due medici: «laddove queste avessero posto in essere il comportamento alternativo lecito, e, dunque, avessero proceduto al drenaggio chirurgico dell’ematoma, l’evento lesivo, con elevato grado di probabilità logica, non si sarebbe verificato». In generale, sul punto,
“nelle ipotesi di lesioni colpose (ovvero di omicidio colposo) ascritte all’esercente la professione sanitaria, il ragionamento controfattuale deve essere sviluppato dal giudice di merito in riferimento alla specifica attività che era richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale”.
La decisione nel caso concreto
La decisione della Corte d’Appello, di fatto limitandosi a dissentire dalle sopra indicate conclusioni senza articolare nel dettaglio i motivi di dissenso, né una motivazione «rinforzata», si risolve, secondo la Cassazione, in una decisione apparente, non adeguatamente argomentata.
La sentenza impugnata è stata dunque annullata con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte d’Appello di provenienza.
LEGGI LA SENTENZA
Cassazione Penale, Sez. IV, n. 8171 del 9 marzo 2022
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Avv. Elena Bassan