La formaldeide, prodotta in grandi quantità nel mondo, viene usata principalmente per la produzione di resine sintetiche (le cosiddette fenol formaldeidiche, come la “vecchia” bakelite) e in resine utilizzate nel settore degli adesivi.
Un altro uso massiccio della formaldeide riguarda la produzione di materie plastiche per rivestimenti; inoltre viene anche impiegata nel finissaggio di tessuti e come intermedio chimico per sintesi di molecole più complesse.
In Italia, le stime elaborate nel contesto di uno studio europeo di inizio secolo (1) riferiscono che circa 75.000 lavoratori sono esposti a formaldeide, mentre circa un milione sono i lavoratori che vengono a contatto con l’agente nell’Unione Europea.

Naturalmente l’esposizione professionale dei lavoratori è regolata da precise norme di sicurezza che hanno visto una prima armonizzazione europea già nel 1981 per culminare nella nota “legge 626” del 1994 e le sue successive modifiche (2), nonché nell’integrazione alla stessa, nota come “rischio chimico”, che tutela specificatamente la sicurezza dei lavoratori esposti ad agenti chimici (3).


La formaldeide era classificata già dal giugno 2004 come “probabile cancerogeno per l’uomo” ma le informazioni provenienti dai nuovi studi disponibili hanno rafforzato le prove a favore della sua cancerogenicità.
L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro ha dunque classificato l’agente chimico formaldeide come “cancerogeno per l’uomo” sulla base della acquisizione e della valutazione di nuovi studi (4).
Il gruppo di lavoro internazionale, costituitosi presso l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, ha stabilito che la formaldeide causa tumori naso-faringei nell’uomo, una neoplasia piuttosto rara nei paesi sviluppati.


La vecchia classificazione di pericolosità da parte della Comunità Europea della sostanza come cancerogena di Categoria 3 e frase di rischio R 40 (Possibilità di effetti cancerogeni – prove insufficienti) nel 1996 (5), recepita in Italia nell’anno successivo ne ha, in parte, ridotto l’uso massiccio e dunque l’esposizione dei lavoratori.
Questa classificazione, tra l’altro, al momento della scrittura del presente articolo (giugno 2012) è in corso di revisione poiché dovrà essere armonizzata rispetto al nuovo Regolamento europeo di Classificazione, Etichettatura e Imballaggio, noto anche come CLP (6).
 
Tuttavia la formaldeide trova uso, nell’industria anche come “sanitizzante” e come “preservante”; serve cioè a ridurre la contaminazione microbica degli ambienti e dei prodotti.


Quanto al primo di questi due usi sono da tempo note sostanze, come glutaraldeide e acido peracetico, che fungono egregiamente da sanitizzanti per ambienti industriali ma che presentano studi di tossicità acuta molto più rassicuranti.


Per quanto concerne il secondo aspetto, e cioè il suo uso per preservare i prodotti cosmetici,  essa è stata, fino agli anni ’80, largamente usata per la conservazione sia dei prodotti cosmetici finiti che di alcune materie prime componenti i cosmetici e i detergenti (veniva usata per esempio per la conservazione degli alchilsolfati che sono i tensioattivi tuttora più usati in questi due settori).


Nella Comunità Europea, pur essendo ancora “formalmente” permessa, la formaldeide in pratica è stata da tempo messa al bando nei prodotti finiti pronti per l’uso. Numerosi studi del comitato scientifico preposto ne hanno messo in discussione l’impiego (7). Il percorso per quanto riguarda le materie prime, invece, è stato più lungo e laborioso ma oggi possiamo ragionevolmente essere sicuri che essa non è più presente nei tensioattivi usati, almeno per quanto concerne quelli prodotti dalle multinazionali europee e statunitensi.
In altre parole è virtualmente impossibile oggi trovare sul mercato un prodotto cosmetico fabbricato in Europa, formulato con formaldeide o contenente materie prime conservate con formaldeide, con la sola eccezione dei prodotti per le unghie e degli “stiranti per capelli”.
Naturalmente ciò è molto più difficile assicurarlo per le materie prime provenienti dai paesi emergenti (Cina innanzi tutto): ciononostante la Comunità Europea, per esempio, impone un certificato di analisi sulle materie prime importate extra EU e la vigilanza degli organi competenti territoriali (le ASL in Italia per intenderci) ma naturalmente qualcosa può scappare.


Anche se l’uso nei prodotti finiti, come dicevamo poc’anzi, è da tempo caduto in disuso in Europa, è opportuno osservare come invece siano tollerati dei succedanei della formaldeide: due molecole infatti, e precisamente la imidazolidinil-urea e la diazolidinil-urea, sono permesse come conservanti antimicrobici nei cosmetici ma fungono da “cessori di formaldeide”.
Ciò significa che, durante la vita del prodotto, esse cedono formaldeide inibendo la crescita batterica all’interno del prodotto.
Il loro uso, sebbene spesso oggetto di critiche e di valutazioni di esperti, è per ora ancora considerato sicuro.
Sebbene le concentrazioni in gioco di formaldeide siano sensibilmente più basse di quelle usate anni fa, secondo alcuni autori un rischio per la salute umana potrebbe teoricamente esistere ancora, soprattutto nell’uso prolungato (si pensi ai prodotti di uso quotidiano) e/o se i prodotti vengono in parte inalati.


Ma è semplice correre ai ripari.
Dal  1993 in Europa (e dal 1997 in Italia) la Direttiva Europea sui prodotti cosmetici (8) impone che siano chiaramente riportati in etichetta gli ingredienti del prodotto (alla stessa stregua degli alimentari) secondo una nomenclatura internazionale, definita INCI (9).
Secondo questa nomenclatura, le denominazioni delle due molecole che cedono formaldeide sono:  “ Imidazolidinyl Urea ” e  “ Diazolidinyl Urea “.
Se si vuole assolutamente evitare anche il temporaneo e potenziale contatto con la formaldeide, basterà accertarsi che non siano presenti sulla lista ingredienti della confezione e potremo usare il prodotto che stiamo acquistando con maggiore tranquillità.
Naturalmente, poi, il nostro dermatologo di fiducia potrà accertare, tramite test specifici, se esistono particolari forme allergiche a questi come a tutti gli altri tipi di conservanti usati e guidarci, attraverso la lettura della lista ingredienti, al prodotto più tollerato per noi.


Dr. Massimo Perrone
Chimico cosmetologo