Quando si acquistano prodotti solari, l’attenzione è tutta per quel numero apposto in grande sul flacone e accompagnato dalla sigla SPF (Sun Protection Factor). Questo valore è fondamentale perché indica la capacità protettiva della formula: da 50 anni è considerato l’indicatore universale dell’efficacia dei prodotti solari contro le scottature. Frutto di rigorosi test scientifici, l’SPF è uno scudo affidabile nei confronti dei possibili danni dei raggi UV sulla pelle, ma solo se il prodotto viene scelto e applicato in modo corretto.

Prodotti solari e SPF: il test in vitro

Dal 1994 esiste un metodo unificato a livello europeo per l’identificazione dell’SPF dettato dal Colipa (Associazione europea per i cosmetici e i prodotti per l’igiene personale). «In laboratorio vengono eseguiti due tipi di test», spiega Giovanni Leone, responsabile del Centro di Fotodermatologia e Cura della Vitiligine del’Ospedale Israelitico di Roma. «Il primo, preliminare, si avvale di particolari apparecchi chiamati spettrofotometri che misurano il livello di assorbimento di un prodotto solare (il “coefficiente di assorbimento”) applicato su un supporto. Serve a dare un’idea approssimativa della capacità filtrante della formula e deve essere confermato da un successivo test in vivo, su volontari umani sani».

Prodotti solari e SPF: il test in vivo

Secondo una precisa normativa europea (Colipa/JCIA/CTFA-SA), questa seconda misurazione si effettua solo sui fototipi uno, due e tre (quelli più tendenti a scottature). Questo test prende in considerazione la cosiddetta MED (“dose minima eritematogena”), cioè la più bassa dose di raggi UV in grado di produrre un arrossamento cutaneo visibile a distanza di 24-26 ore dall’esposizione.

«Viene misurato il rapporto tra la MED della pelle dopo l’applicazione del solare e la MED di quella non protetta da alcun prodotto», prosegue l’esperto. «Maggiore è la capacità protettiva del prodotto, maggiore sarà la MED della pelle protetta e più elevato sarà l’SPF. In pratica applicare un SPF50 significa che, per ottenere lo stesso livello di eritema di una pelle non protetta, bisognerebbe ricevere una dose di raggi solari 50 volte maggiori».

Prodotti solari e SPF: il test outdoor

Esiste poi un terzo tipo di prova, chiamato “outdoor”, effettuata in modo facoltativo da alcune aziende cosmetiche per convalidare in modo definitivo l’efficacia protettiva dei loro preparati, testati in condizioni climatiche estreme (come l’alta montagna). «L’indicazione di effettuazione di questi test, riportata sul foglietto illustrativo, è un’ulteriore garanzia a tutela del consumatore», sottolinea Leone.

Dal laboratorio al prodotto

Dopo le opportune misurazioni su vari fototipi viene fatta una media dei valori ottenuti sui prodotti solari e identificato il giusto livello di protezione, che poi viene riportato sulla confezione in approssimazione per difetto rispetto al numero intero più vicino tra quelli indicati nelle tabelle di classificazione SPF.

Da sapere: per le protezioni superiori a 50 viene raccomandata la sostituzione del numero con l’indicazione 50+, così come vengono sconsigliate scritte come ”sunblock” o “protezione totale“, ed espressioni che indicano come non necessaria una riapplicazione del prodotto (“one-day application”).

In spiaggia: attenzione alle dosi

Secondo quanto riportato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità, affinché i prodotti solari svolgano in modo efficace la funzione protettiva testata in laboratorio, devono essere applicati in quantità sufficiente. «La quantità di crema usata per i test è di 2 milligrammi per centimetro quadrato, pari a circa 6 cucchiaini da tè di lozione (36 grammi circa) per il corpo di un adulto medio», sottolinea il dermatologo.

«Purtroppo da diversi studi è emerso come i bagnanti applichino in media appena la metà della quantità raccomandata, spesso anche meno. Così finisce che un SPF50, nella realtà dei fatti, protegga come un 25. Le aziende adottano diversi sistemi per aiutare i consumatori a raggiungere le dosi raccomandate, come illustrazioni o pittogrammi, oppure dotando i flaconi di sistemi a stantuffo e indicando il numero di puff necessari a raggiungere la dose protettiva minima sufficiente».

Prodotti solari e SPF: i consigli dei dermatologi

1. SPF più alto e strato spesso. In base a queste considerazioni, in genere l’indicazione dei dermatologi è quella di scegliere preferibilmente prodotti solari con un fattore protettivo più alto rispetto a quello compatibile con il proprio fototipo, per ovviare a eventuali problemi di sottodosaggio, cercando di applicarne una dose abbondante, in uno strato spesso, e di spalmarlo accuratamente in modo che ricopra tutta la superficie cutanea. I moderni prodotti rimangono in superficie e non oltrepassano la barriera cutanea.

2. Doppia applicazione. Per evitare che restino aree di pelle scoperte dalla protezione, si consiglia si riapplicare due volte i prodotti solari, soprattutto prima di un’intensa esposizione: uno studio condotto da ricercatori della Bispebjerg Hospital, Copenhagen University, ha dimostrato che la strategia della doppia applicazione consecutiva è efficace per ridurre dal 20% al 9% il rischio di zone non protette.

3. Meglio creme e fluidi. I test vengono effettuati sulle creme. «I prodotti solari in gel, latti o acque spray sono più gradevoli e accettati dal punto di vista cosmetologico, ma dal punto di vista della permanenza sulla pelle sono meno resistenti rispetto alle emulsioni», spiega il professor Leone, «per cui l’indicazione, specialmente per certi soggetti (per esempio pelli sensibili o predisposti ai tumori della pelle), è di optare quando possibile per formule in crema o fluide. Più denso è il prodotto, maggiore è la possibilità di permanenza della capacità protettiva nel tempo».

4. Riapplicazione ogni due ore. Contrariamente all’abitudine comune, i prodotti solari non vanno messi direttamente sotto il sole, ma almeno 10-15 minuti prima dell’esposizione. Inoltre la resistenza all’acqua non esiste in termini assoluti: è vero che i prodotti con la dicitura “water resistant” (che ha sostituito da qualche anno “waterproof”) sono stati testati sottoponendo alcuni volontari a ripetute immersioni e quindi garantiscono che l’SPF residuo non è inferiore a quello iniziale di oltre una determinata percentuale. «Questo però non sostituisce la raccomandazione degli specialisti di riapplicare il prodotto dopo ogni bagno e comunque ogni due, massimo tre ore», specifica l’esperto.

5. Simbolo UVA. L’SPF è un parametro che si riferisce esclusivamente alle radiazioni UVB, che inducono la comparsa di eritema. «Per quanto riguarda le radiazioni UVA, che non sono eritematogene ma stimolano la maturazione della melanina», conclude Leone, «sono responsabili del fotoinvecchiamento precoce e sembra che abbiano un ruolo nel favorire la comparsa del temibile melanoma, si utilizzano altri parametri che garantiscono che la protezione UVA sia superiore o uguale a un terzo di quella UVB.

La protezione UVA», prosegue, «è fondamentale quanto quella dagli UVB in quanto la pigmentazione melanica dei soggetti con pelle scura protegge dai raggi UVB ma non dai raggi UVA. Quindi un individuo di pelle scura dovrà accertarsi di usare sempre un solare con fattore di protezione UVA alto, anche se utilizza un prodotto con SPF più basso rispetto ai soggetti con pelle chiara. Per accertarsi che i prodotti solari corrispondano a questa indicazione, in conclusione, è importante controllare la presenza ben visibile di un apposito simbolo (un cerchietto che racchiude la sigla UVA) sul fronte del packaging».