L’alopecia areata (AA) è una malattia infiammatoria di tipo autoimmune. Colpisce prevalentemente i follicoli piliferi del cuoio capelluto, del viso e del corpo, ma non è cicatriziale: si crea cioè una infiammazione follicolare senza una distruzione permanente del follicolo stesso. Si manifesta a qualsiasi età, interessa in egual misura maschi e femmine e ha una prevalenza dell’ 1-2%. Può avere una certa familiarità (nel 20% dei casi) e si ritiene che un fattore scatenante, ancora ignoto, sia in grado di innescare il processo autoimmune in un soggetto geneticamente predisposto. Abbandonata l’ipotesi patogenetica fungina e batterica, sono stati ipotizzati, nel ruolo di agente etiologico, i virus, ma non ci sono dati conclusivi.

Lo stress: un fattore scatenante indiretto

Da sempre è stata riscontrata una correlazione tra lo scatenamento o l’aggravamento dell’alopecia areata e lo “stress”. Ma gli studi hanno dimostrato che non vi è nessun legame diretto tra gravità dell’alopecia, stato psicologico del paziente e intensità dei traumi emotivi subiti. «È più corretto affermare che gli eventi stressogeni possono interferire con il sistema immunitario, slatetizzando la malattia. È possibile invece verificare con certezza la frequente associazione della malattia con altre condizioni patologiche, tra cui vitiligine, dermatite atopica (il 40% con AA presenta lesioni atopiche), alterazioni ungueali, tiroidite di Hashimoto, sindrome di Down» spiega la dottoressa Sandra Lorenzi, dermatologa Isplad.

Gli strumenti per la diagnosi dall’alopecia areata

L’alopecia areata può esordire paradossalmente con un quadro senza chiazze alopeciche, ma simile al “telogen effluvium” e si parla in questi casi di alopecia areata diffusa o “incognita”. Un esame tricoscopico dei capelli è utile per confermare la diagnosi di alopecia areata, per valutarne l’andamento e la risposta alla terapia. Permette la visualizzazione di segni tipici, quali gli yellow dots, presenti nel 95% dai casi, che corrispondono a follicoli dilatati e appaiono come punti di colorito giallo-rosa, rotondeggianti. Esclusivi dell’alopecia areata sono anche i capelli a punto esclamativo, con la parte prossimale più sottile e più chiara rispetto a quella distale che è scura e spessa. Il pull test permette di verificare la fase e la tendenza all’estensione della patologia, mentre l’esame istologico è indicato se si sospetta, in presenza di chiazza unica, una patologia cicatriziale. Non esistono attualmente accertamenti di laboratorio specifici per l’AA, che vengono effettuati solo per rilevare una concomitante patologia autoimmune.

La prognosi e le cure

La prognosi è imprevedibile. Circa il 40% dei pazienti con alopecia areata recupererà i capelli entro un anno dalla comparsa, ma le recidive sono frequenti. La ricrescita è più frequente nelle AA di grado lieve (minore del 40% cuoio capelluto interessato). Fattori prognostici negativi sono l’esordio in età pediatrica e l’associazione con l’atopia. I farmaci oggi disponibili per l’alopecia areata fanno ricrescere, almeno in parte, i capelli, ma non guariscono dalla malattia. «La scelta del trattamento avviene in base all’età del paziente, alla gravità dell’alopecia areata (interessamento del cuoio capelluto superiore o inferiore al 40%) e alla sua fase di attività, valutabile con la tricoscopia» precisa la dottoressa Lorenzi. Si utilizzano:

  • cortisonici sia per via topica (clobetasolo propionato in varie formulazioni), che per via sistemica (metilprednisolone, predinsone, desametasone);
  • steroidi intralesionari. Si utilizzano su chiazze con estensione non superiore al 40% del cuoio capelluto, effettuando iniezioni intradermiche a base di triamcinolone acetonide, una volta ogni 30-40 giorni;
  • immunosoppressori orali come il methotrexate e la ciclosporina, che richiedono terapie prolungate e controlli periodici;
  • ditranolo topico, utilizzato prevalentemente nei bambini: è efficace e ha pochi effetti collaterali;
  • immunoterapici topici: difenilciproterone o dibutilestere dell’acido squarico: creano una dermatite allergica da contatto e agiscono attraverso un duplice meccanismo: da un lato forniscono un bersaglio alternativo all’antigene che causa la malattia agendo da distrazione alla risposta immunitaria; dall’altro una prolungata immunostimolazione determina un aumento dei linfociti T suppressor che limita la reazione immunitaria nei confronti del follicolo.
  • JAK inibitori, in particolare tofacinib, ruxolitinib e, secondo studi ancora in corso, baricitinib. Si tratta di molecole che inibiscono l’attività di uno o più enzimi JAK1, JAK2 e JAK3, implicati nella disfunzione immunitaria che porta al danneggiamento dei follicoli piliferi. Sono farmaci impiegati per altre patologie e che vengono quindi utilizzati off label.

Bariticinib, nuove speranze per l’alopecia areata

Secondo i risultati di due studi di fase III presentati al congresso European Academy of Dermatology and Venereology 2021, è stata osservata una risposta con baricitinib dopo circa 4 settimane. I pazienti arruolati hanno ricevuto baricitinib 4 mg, baricitinib 2 mg o placebo, tutti in un’unica somministrazione giornaliera. In entrambe le sperimentazioni l’alopecia areata grave, definita come un punteggio SALT (Severity of Alopecia Tool) superiore o uguale a 50, era un requisito per l’arruolamento. I risultati hanno mostrato che, dopo nove mesi, ha raggiunto l’80% o più di copertura del cuoio capelluto il 35% dei pazienti trattati con 4 mg di baricitinib, il 22% dei pazienti trattati con 2 mg e il 5% dei pazienti nel gruppo placebo.

Un approccio integrato

«Siamo molto fiduciosi e confidiamo che gli studi per trovare terapie sempre più efficaci continuino: sono armi in più a disposizione dei dermatologi, soprattutto nelle forme che non rispondono alle cure convenzionali» commenta la dottoressa Lorenzi. «Certo, questi farmaci devono essere valutati attentamente sul lungo periodo in termini di efficacia e sicurezza, contemplando anche il rapporto costi/benefici: nel caso di bariticinib e dei JAK inibitori in genere, si tratta di prodotti che hanno un prezzo molto elevato e il loro utilizzo deve essere quindi ampiamente giustificato». Da non sottovalutare poi, nell’ambito della terapia, l’aspetto emozionale: un supporto psicologico mirato in caso di evento stressante o per giungere all’accettazione della malattia, diventa parte integrante del percorso terapeutico stesso.