Il melanoma colpisce più gli uomini delle donne. Secondo uno studio americano, la probabilità di svilupparlo nel corso della vita è dell’1,72% nel sesso maschile e dell’1,22% in quello femminile. Nel 2014 quest’ultimo ha rappresentato il 42% di tutti nuovi casi (76.100) di melanoma negli Stati Uniti e circa un terzo dei malati non sopravvissuti (9.710). «Questa, seppur moderata, disparità di genere ha due spiegazioni: una di ordine genetico, biologico e ormonale e l’altra di tipo ambientale, cioè legata ai comportamenti», spiega Giulio Ferranti, specializzato in dermatologia, venereologia e anatomia patologica, membro del Direttivo Isplad

Melanoma e ormoni 

«Gli estrogeni, ormoni femminili, svolgono un’azione protettiva nei confronti del cosiddetto photoaging, l’invecchiamento indotto dall’esposizione solare e i raggi Uv, è noto, sono fortemente coinvolti nello sviluppo del melanoma», prosegue l’esperto. «Al contrario gli androgeni, ormoni maschili, sembrano essere più suscettibili all’azione delle radiazioni. A livello immunitario, inoltre, le donne presentano una maggiore produzione di anticorpi IgG e IgM, ma anche di linfociti T, che hanno un’azione difensiva nei confronti delle neoplasie.

Sempre per ragioni ormonali, a parità di gravità della malattia, la prognosi nelle donne risulta più favorevole. Gli ormoni femminili sembrano proteggere anche dal rischio di recidiva e riducono la mortalità. Nessun rischio aggiuntivo di melanoma, infine, per chi assume la pillola contraccettiva, terapie per la fertilità o la terapia sostitutiva in menopausa».  

Comportamenti preventivi 

Per quanto riguarda la prevenzione del melanoma, agli screening di massa per i tumori della pelle (visite dermatologiche con controllo dei nevi), la popolazione femminile partecipa in modo più massiccio e questo depone ulteriormente a suo favore. Al sole le donne si proteggono di più dei maschi ma, d’altro canto, sono più affezionate alle lampade abbronzanti, che aumentano in modo significativo il rischio di melanoma (alcuni lavori parlano di un 16% in più di probabilità e, più precoce è l’età del primo lettino solare, più la percentuale aumenta). 

Fototipi “genderless” 

Il melanoma non fa distinzione tra pelle maschile o femminile ma è risaputo che predilige i fototipi chiari (pelle chiarissima, capelli rossi e occhi verdi, oppure pelle chiara, capelli biondi e occhi azzurri), ma specialmente i soggetti, al di là del genere, con una bassa “quantità minima eritematogena”, cioè che diventano rossi (con comparsa di eritema solare) in breve tempo al sole. 

Aree colpite 

Le donne sono più coinvolte dal melanoma a livello degli arti, specialmente inferiori, mentre l’uomo sul tronco, dove il tumore colpisce in modo più aggressivo. «Gambe e tronco sono zone più frequenti in età giovanile», specifica il medico, «mentre il distretto testa-collo e gli arti superiori si ammalano generalmente in età più avanzata, probabilmente per un “accumulo” di raggi ultravioletti nel corso degli anni.

C’è anche una questione anatomica: se le lesioni pigmentate sul glande sono facilmente rilevabili, il melanoma in area vulvare viene considerato tra i più pericolosi proprio perché può passare facilmente inosservato: secondo uno studio condotto negli Stati Uniti, tra il 10% e il 20% delle donne tra i 30 e i 40 anni che si recano dal ginecologo per vari motivi, presenta una o più lesioni pigmentate di varia natura (nevi, cheratosi seborroiche, ecc…) di cui non sapevano l’esistenza e che viene scoperta in modo del tutto casuale. Statisticamente, per questo tipo di tumore, la sopravvivenza a cinque anni è del 50% circa, contro il 90% dei melanomi in altre aree». 

Il melanoma in gravidanza

Circa un terzo delle donne che ricevono una diagnosi di melanoma è in età fertile, tuttavia a oggi non esistono ancora linee guida ufficiali per il trattamento della malattia nelle future mamme. In gravidanza accadono due fenomeni la cui somma, si è ipotizzato, potrebbe influenzare negativamente sia la possibilità di incorrere in un melanoma sia il suo eventuale decorso. «Innanzitutto, la pelle manifesta un maggior rischio di iperpigmentazione per esempio dell’areola mammaria, ma anche dei nevi, dovuto all’azione del progesterone, ormone i cui livelli nel sangue aumentano durante la gestazione e che ha, come effetto secondario, un’ iperproduzione di melanina», chiarisce il dottor Ferranti.

«Parallelamente, in dolce attesa si verifica un fisiologico calo delle difese immunitarie (immunosoppressione) funzionale a evitare il rigetto del feto. Ciononostante, secondo alcune ricerche lo stato di gravidanza non sembra incidere sull’esito delle lesioni melanocitarie più comuni. È confermata l’alterazione delle lesioni (alcuni nevi appaiono visibilmente più grandi) ma ciò sembra essere più che altro l’effetto della distensione della cute conseguente all’aumento di peso gestazionale.

Attraverso un’analisi dermatoscopica, si è osservato inoltre che l’eventuale aumento di vascolarizzazione dei nevi è circoscritto al periodo gestazionale e scompare spontaneamente dopo il parto. Anche in gravidanza, quindi, come nelle altre fasi della vita, eventuali lesioni sospette vanno sempre monitorate, ed eventualmente asportate chirurgicamente, ma la gestazione in sé non sembra essere un fattore prognostico negativo per il melanoma. Per quanto riguarda i rischi per le gravidanze successive, in caso di melanoma sottile (di spessore inferiore a 0,8 millimetri secondo l’indice di Breslow) non ci sono controindicazioni per un’eventuale nuova gravidanza, mentre per tumori più profondi è raccomandabile attendere almeno due o tre anni dalla diagnosi». 

 

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