Nota come alopecia androgenetica, la calvizie maschile coinvolge circa il 70% degli uomini 20 ai 60 anni*. I capelli cadono lentamente, i bulbi piliferi diventano via via più piccoli, producendo quindi capelli deboli e sottili. Le zone più colpite? La fronte, le tempie, l’area superiore della testa. In misura minore (35%), questo tipo di calvizie interessa anche le donne, soprattutto dopo la menopausa. Si tratta, infatti, di una calvizie di origine ormonale dovuta alla “trasformazione” del testosterone in diidrotestosterone (abbrev. Dht), cioè una sostanza che agisce sul bulbo pilifero rimpicciolendolo. Così il capello diventa più debole e sottile. Il testosterone è di fatto presente in piccole percentuali anche nell’organismo femminile.

Come per ogni patologia, anche la calvizie presenta diversi stadi di gravità: il primo dermatologo ad averli codificati in una scala è stato lo statunitense James B. Hamilton negli anni ’50. Da allora la classificazione in sequenza dei livelli di calvizie è conosciuta dagli addetti ai lavori come “scala calvizie di Hamilton”. Un punto di riferimento lo specialista che, oltre a formulare la diagnosi, aiuta anche a informare meglio il paziente sull’avanzamento del problema.

 

Qual è, dunque la classificazione di Hamilton?

5 gli stadi che classificano la calvizie: si va dalla semplice stempiatura all’aspetto del “quasi” calvo. Ma vediamoli nel dettaglio:

Stadio I: l’area fronto-temporale del capo subisce un lieve arretramento simmetrico, al quale si accompagna un arretramento della linea frontale; ci si può definire “stempiati”.

Stadio II: si verifica un’accentuamento dello stadio I con leggero arretramento della linea frontale e diradamento della parte superiore del capo. Siamo ancora nel livello lieve di calvizie.

Stadio III: le due zone diradate, anteriore e posteriore, tendono a confluire e, sul capo, persiste così solo una stretta striscia di capelli. Si comincia a parlare di calvizie vera e propria.

Stadio IV: l’area fronto-parietale e quella del vertice sono completamente calve; permane una “corona” di capelli nella zona temporo-occipitale, che occupa una superficie medio-alta.

Stadio V: la suddetta “corona” di capelli è diventata molto ridotta. Si è così calvi in maniera conclamata.

 

Calvizie: Norwood e la classificazione “emendata” di Hamilton

Nel 1975 il dermatologo O’Tar Norwood ha ampliato la classificazione di Hamilton, introducendo 2 stadi, alcuni dei quali ulteriormente suddivisi in micro-categorie, in modo da arrivare in tutto a 12 livelli.

Li elenchiamo brevemente:

Stadio I: corrisponde al soggetto con capelli in quantità normale, cioè non diradata.

Stadio II: corrisponde all’1 di Hamilton con solo arretramento fronto-temporale.

Stadio IIa: la linea frontale arretra sempre più.

Stadio III: corrisponde all’1 di Hamilton ma con arretramento fronto-temporale più accentuato.

Stadio IIIa: come lo stadio 3 ma associato all’arretramento della linea frontale.

Stadio III vertex: al 3 o al 3a si associa diradamento della zona del vertice (corrisponde all’incirca al 2 di Hamilton).

Stadio IV: rimane una larga striscia di capelli superstiti fra le zone alopeciche anteriore e posteriore (cioè uno stadio 3 di Hamilton poco accentuato).

Stadio IVa: notevole arretramento della linea di attaccatura anteriore che arriva grosso modo alla linea virtuale che congiunge la sommità delle due orecchie; la presenza di diradamento del vertice non è obbligatoria ma in ogni caso è assente la striscia di capelli superstiti.

Stadio V: come il 4 più accentuato (corrisponde al 3 di Hamilton).

Stadio Va: come il 4a più accentuato (corrisponde al 4 di Hamilton poco accentuato).

Stadio VI: corrisponde al 4 di Hamilton.

Stadio VII: corrisponde al 5 di Hamilton.

Sono passati più di 40 anni, ma saper associare il paziente – con principio o manifestazione conclamata di calvizie – a uno stadio preciso è il primo passo per stilare una terapia adeguata. E per rendere più consapevole del problema chi lo vive in prima persona. Visto che la consapevolezza viaggia con la collaborazione con il dermatologo

 

* Andrea Marliani, Manuale di Tricologia, 1997