L’eventuale malfunzionamento dei macchinari non può essere dedotto dal medico come giustificazione per escludere la propria responsabilità posto che, in tal caso, il sanitario ha l’onere provare di aver verificato, o di essersi assicurato che fosse stata controllata la loro corretta operatività.

 

 

Oggi vi segnalo un’interessante pronuncia della Corte di Cassazione che tratta il tema del possibile malfunzionamento dei macchinari utilizzati in ambito sanitario e dell’onere di relativo controllo da parte dei medici, che ben può applicarsi anche agli strumenti e macchine ad utilizzo dermatologico.

 

Il caso all’esame della Cassazione

Un paziente si sottopone ad intervento chirurgico di mastoplastica additiva presso una clinica privata ma, nel corso dell’intervento, si risveglia improvvisamente.

Il paziente agisce in giudizio contro l’anestesista per non aver adottato metodi adeguati di monitoraggio della profondità della sedazione ed allegando di aver subito danni dall’inatteso risveglio intraoperatorio posto che, in seguito ed a causa dei fatti esposti, aveva interrotto il proprio processo di transizione dalla condizione maschile a quella femminile, iniziato prima dell’intervento.

Il Tribunale rigetta la domanda del paziente, rilevando la mancanza di certezza in merito al nesso causale nel caso di specie; la Corte d’Appello accoglie invece la domanda risarcitoria.

Sia il paziente che la compagnia assicurativa del medico ricorrono in Cassazione per ottenere la riforma della sentenza del grado d’appello.

 

La Cassazione ribadisce i principi fondamentali in tema di nesso causale

Nella motivazione della decisione, la Corte di Cassazione ribadisce innanzitutto che

“In tema di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, causa del danno”.

Nei giudizi civilistici di risarcimento del danno attinenti alla materia sanitaria, sia che si tratti di risarcimento da inadempimento contrattuale (ovverosia, sulla base della Legge Gelli, venga dedotta la responsabilità di una struttura sanitaria, o di un medico legato direttamente al paziente tramite un contratto) sia di risarcimento da fatto illecito (cioè in tutti gli altri casi di allegata responsabilità del sanitario) è necessario procedere all’accertamento

  • della condotta colposa del responsabile;
  • del nesso di causa tra questa ed il danno subito dal paziente.

La sussistenza dell’una non comporta, di per sé, la dimostrazione dell’altro, e viceversa.

In ogni caso, secondo la Cassazione, sarà il paziente a dover dimostrare il nesso causale tra la condotta del medico ed il danno di cui si chiede il risarcimento, e cioè tanto il cd. “nesso causale materiale” (ovverosia la derivazione dell’evento lesivo dalla dedotta condotta del sanitario), quanto il cd. “nesso causale giuridico” (e cioè l’individuazione delle singole conseguenze pregiudizievoli dell’evento lesivo).

Tale onere sarà assolto dal paziente dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del sanitario è stata, appunto, secondo il riferito criterio del “più probabile che non”, la causa del danno, con la conseguenza che

“se, al termine dell’istruttoria, non risulti provato il suddetto nesso tra condotta ed evento, la domanda dev’essere rigettata”.

 

L’applicazione del principio del “più probabile che non” nel caso concreto

Nel caso in commento, la Cassazione ha ritenuto essere stata fornita dal paziente la prova positiva del nesso causale.

Infatti, secondo il consulente tecnico nominato dal Tribunale, tra tutte le spiegazioni possibili del risveglio intraoperatorio del paziente, la ricorrenza di un possibile caso fortuito aveva statisticamente una bassissima percentuale di accadimento (0,1/0,2% dei casi), sicché era più probabile la ricorrenza nel caso concreto di una delle altre cause, tutte ascrivibili ad errore umano e dunque a colpa del sanitario.

 

Grava sul medico l’onere di dimostrare l’assenza di colpa

In questa cornice – e cioè a fronte della prova del nesso causale da parte del paziente – i Giudici hanno ritenuto dirimente la mancanza prova di assenza di colpa professionale da parte dell’anestesista, sulla base della considerazione che

“anche l’eventuale malfunzionamento dei macchinari non l’escludeva, considerato che egli non aveva provato di aver verificato o essersi assicurato che fosse stata controllata la loro corretta operatività”.

 

L’eventuale responsabilità della clinica come custode dei macchinari non esclude la colpa del medico

La Cassazione ha infine apertamente dichiarato l’inammissibilità del secondo motivo di impugnazione dedotto dalla compagnia di assicurazione, secondo la quale la Corte d’Appello avrebbe errato ad ipotizzare il malfunzionamento dei macchinari che, se pure fosse accaduto, avrebbe comportato la responsabilità esclusiva della clinica – escludendo dunque la responsabilità personale del medico – in qualità di relativo custode.

Secondo la Corte, infatti,

“l’eventuale sussistenza della responsabilità della clinica come custode, non esclude la colpa imputata (al sanitario) per il mancato controllo (diretto o indiretto) dei macchinari”.

In considerazione di quanto precede, i motivi di ricorso presentati dalle parti sono stati integralmente rigettati, con compensazione delle rispettive spese legali.

È dunque consigliabile che il medico predisponga regolarmente – o richieda a chi di dovere di eseguire, lasciando traccia documentale della richiesta – i controlli necessari alla verifica del regolare funzionamento e dell’efficienza delle macchine utilizzate al fine di escludere una propria responsabilità in caso di possibili malfunzionamenti.

 

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[Cassazione Civile, Sez. III, n. 27449 del 30 ottobre 2018]

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Avv. Elena Bassan

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